Pelagos, il primo passo per un mondo plastic free

Legambiente e Expédition MED hanno presentato lo scorso anno Pelagos plastic free

Pelagos Plastic free è un progetto mirato al monitoraggio e alla riduzione dei rifiuti plastici nel Santuario Pelagos

La plastica rappresenta tra l’80 e il 90% dei rifiuti dispersi nell’ambiente marino e costiero.

Quello che vediamo galleggiare sulla superficie del mare e arenarsi sulle spiagge però è solo la punta dell’iceberg di un problema ben più complesso.

Sui fondali oceanici si trovano infatti oltre 100 milioni di tonnellate di rifiuti.

Rifiuti che, portati dalle correnti raggiungono anche le aree più remote. 

A nove anni dal recepimento della Direttiva Europea sulla Strategia Marina l’obiettivo del raggiungimento di “buono stato ecologico” entro il 2020 è ancora molto lontano.

Nel frattempo si sono però intensificati gli studi sul tema che hanno evidenziato, senza ombra di dubbio, che i rifiuti plastici continuano a invadere le spiagge e i mari del Mediterraneo senza risparmiare aree di pregio come quella del Santuario Internazionale per i Mammiferi Marini

Gli impatti sulla fauna marina dei rifiuti plastici sono numerosi, anche a causa delle diverse forme e dimensioni del rifiuto, e se i principali riguardano l’aggrovigliamento e l’intrappolamento degli esemplari, è l’ingestione a suscitare ulteriore preoccupazione perché può portare a malnutrizione, morte per soffocamento, ostruzione del tratto intestinale, inedia e, ancora, a problemi per il sistema endocrino a causa dell’esposizione alle sostanze tossiche contenute o adsorbite dalla plastica (ftalati, PCB e altre sostanze). 

I rifiuti plastici offrono inoltre un substrato per organismi o uova, che possono essere trasportati in nuovi ambienti al di fuori dei loro confini naturali, favorendo così la diffusione di specie aliene, un fenomeno che rappresenta la seconda minaccia per la biodiversità e l’integrità degli ecosistemi. 

Recenti studi, condotti proprio nel Santuario Pelagos, hanno dimostrato come le aree di accumulo delle microplastiche coincidano con quelle in cui si concentra il plancton di cui si nutrono le balenottere comuni.

La plastifera

È così che le microplastiche (frammenti più piccoli di 5 mm) possono entrare nella catena alimentare di questi grandi filtratori e esporli ai microorganismi (batteri, alghe, virus, invertebrati microscopici) che colonizzano i rifiuti plastici in mare, la cosiddetta “Plastisfera”, un nuovo ecosistema marino composto da specie potenzialmente patogene che mettono a rischio la salute di delfini, balene e altri cetacei nelle acque del Santuario e la biodiversità del Pianeta. 

Proprio la Plastisfera sarà il “sorvegliato speciale” del progetto Pelagos Plastic Free di Legambiente in partnership con l’associazione francese Expédition MED, che si pone l’obiettivo di prevenire e ridurre i rifiuti di plastica nel Santuario Pelagos, attraverso azioni di governance, monitoraggio scientifico e sensibilizzazione di stakeholders specifici. 

“Tutti gli studi confermano che la cattiva gestione a monte è la principale causa della dispersione dei rifiuti anche in mare – ha dichiarato il Responsabile Mare di Legambiente Sebastiano Venneri – e che è urgente agire, in sinergia con le amministrazioni locali, gli operatori del mare e i cittadini, sensibilizzando e diffondendo le pratiche virtuose per frenare la produzione di rifiuti plastici e migliorare i processi di riutilizzo, riciclo e smaltimento”. 

“Azioni che è necessario intraprendere urgentemente – ha sottolineato Tosca Ballerini, Coordinatrice del programma scientifico 2018 di Expédition MED – soprattutto per evitare l’incremento dell’inquinamento da plastica negli ecosistemi marini.

La frammentazione dei rifiuti plastici è la prima fonte di produzione di microplastiche, particelle con dimensione minore di 5 mm, una forma di inquinamento impossibile da quantificare e difficile da rimuovere.

L’inquinamento da plastica preoccupa molto, vista la presenza di questo materiale nei contenuti stomacali di pesci, tartarughe, mammiferi marini e in organismi filtratori come ad esempio le cozze”. 

Nel progettoPelagos Plastic Free, finanziato dal Segretariato Pelagos, con la partecipazione del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, del Parco Nazionale delle Cinque terre, Mareblu, Novamont e Unicoop Firenze, saranno coinvolte autorità costiere, aree protette, associazioni dei pescatori, università e istituti di ricerca, scuole, turisti, diving e volontari. 

Il progetto Pelago Plastic Free nel dettaglio

Nello specifico, il progetto Pelagos Plastic Free agirà su tre fronti: governance, monitoraggio scientifico e sensibilizzazione di stakeholders specifici.

Il primo step riguarderà il tema dei rifiuti: dalla raccolta differenziata in casa alle infrastrutture per il ritiro, dal trasporto allo smaltimento e al riciclo, esiste un’intera filiera da potenziare.

Il progetto prevede la raccolta, diffusione e promozione delle migliori pratiche nel settore, tramite workshop di condivisione con le amministrazioni locali in Liguria, Toscana e Francia.

Con le prime azioni previste tra giugno e agosto 2018, verrà invece monitorata la plastica galleggiante nelle acque del Santuario Pelagos, verranno prelevati campioni da analizzare alla foce del fiume Arno e nel porto di Pisa e in alcuni porti in Francia.

L’analisi del DNA delle comunità di microrganismi costituenti la Plastisfera del Santuario, effettuate dal NIOZ (l’Istituto Olandese per la Ricerca Marina), servirà a identificare le specie di alghe, batteri e virus che proliferano sui rifiuti di plastica, influenzando gli equilibri dell’ecosistema marino. 

Il progetto e le azioni

Il progetto Pelagos Plastic Free nasce dalla necessità di ridurre l’inquinamento marino da plastica per proteggere le diverse specie di cetacei che vivono nel Santuario Pelagos, e si propone di portare un contributo significativo a questo scopo agendo con un approccio integrato tra governance, ricerca scientifica e sensibilizzazione.

Il progetto Pelagos Plastic Freesarà condotto da due associazioni, l’italiana Legambiente e la francese Expédition MED, che hanno alle spalle un bagaglio di esperienza più che decennale per quanto riguarda il dialogo con le amministrazioni locali, la sensibilizzazione e il coinvolgimento di diversi stakeholder, formazione ed educazione scolastica, campagne di comunicazione, progetti di citizen science e collaborazioni con prestigiosi istituti di ricerca. Tutto questo, negli ultimi anni, è stato rivolto in particolare proprio al problema dei rifiuti nell’ambiente marino, costiero e delle acque interne.

Azioni previste

La cattiva gestione dei rifiuti urbani è la causa principale dell’inquinamento da plastica, dunque la prima area di intervento è la governance dei rifiuti. Dalla raccolta differenziata in casa alle infrastrutture per il ritiro, dal trasporto allo smaltimento e al riciclo dei rifiuti, esiste un’intera filiera da potenziare.

Il progetto Pelagos Plastic Freeprevede la raccolta, la diffusione e la promozione delle migliori pratiche nel settore, tramite workshop di condivisione con le amministrazioni locali in Liguria, Toscana e in alcune località francesi. La campagna estiva di Legambiente, Goletta Verde, offrirà il contesto ideale per avviare questi momenti.

I partecipanti ai workshop approfondiranno insieme il problema e svilupperanno delle linee guida da adottare per migliorare la gestione dei rifiuti nelle aree urbane.

La parte di ricerca scientifica prevede la raccolta di campioni in mare aperto, nelle zone di accumulo dei rifiuti marini che coincidono quelle di alimentazione dei cetacei e in tre grandi fiumi e tre porti (nel fiume Arno e nel porto di Pisa in Toscana, nel fiume Golo e nel porto di Bastia in Corsica, nel fiume Varo e nel porto di Nizza in Costa Azzurra).

Su questi campioni saranno effettuate le analisi del DNA per la definizione delle comunità di organismi presenti nella Plastisfera del Santuario Pelagos.

Le attività di campionamento di svolgeranno durante la navigazione di Expédition MED in cui saranno coinvolti, studenti, volontari e ricercatori in un’attività di scienza partecipata che durerà tutto il mese di luglio 2018.

Durante la navigazione sarà effettuato anche il monitoraggio dei macrorifiuti galleggianti applicando il protocollo in via di definizione nell’ambito del progetto europeo MEDSEALITTER.

I monitoraggi dei rifiuti spiaggiati sulle coste verranno distribuiti per tutto il periodo del progetto e saranno effettuati da volontari opportunamente formati e con esperienza. I dati, raccolti seguendo un protocollo standard, andranno ad arricchire il database del MarineLitter Watch costruito dall’Agenzia Europea per l’Ambiente.

Infine, il progetto punterà alla sensibilizzazione e all’attivazione di target specifici, dagli amanti del mare come sub e turisti, a chi ci lavora a pieno contatto, come i pescatori. Giornate di pulizia delle spiagge e dei fondali, esibizioni itineranti, percorsi didattici e formativi per gli insegnanti e moduli specifici per i corsi diving.

Il problema: analisi del contesto e studi effettuati

Sono passati quasi dieci anni dal recepimento della Direttiva Europea Marine Strategy e l’obiettivo del “buono stato” da raggiungere per i mari degli stati membri, entro il 2020, sembra ancora molto lontano, specialmente per il descrittore numero 10 che prevede che “le proprietà e le quantità dei rifiuti in mare non causino danni all’ambiente marino e costiero”.

Un problema ubiquitario, che non risparmia aree di pregio come quella del Santuario dei Cetacei.

Ogni anno dagli 8 ai 20 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, e nel Mar Mediterraneo ci sono 250 miliardi di frammenti di plastica che galleggiano in superficie.

La plastica rappresenta il materiale più presente, con percentuali che arrivano al 95% dei rifiuti accumulati tra coste, superficie marina, colonna d’acqua e fondali (UNEP, 2015).

Si stima che, nelle acque dell’Arcipelago Toscano, la plastica in superficie raggiunga picchi di densità pari a 10 kg/km2, una delle concentrazioni più elevate nel Mar Mediterraneo e negli oceani di tutto il mondo (Suaria et al. 2016).

Ciò che vediamo sulla superficie del mare è solo la punta dell’iceberg, perché la plastica è presente anche nella colonna d’acqua e in quantità ancora maggiori sui fondali marini, dove si stima che superi le 100 milioni di tonnellate (UNEP e GRID-Arendal, 2016).

La cattiva gestione dei rifiuti urbani è la principale fonte del marine litter ed è urgente sviluppare sinergie tra amministrazioni, lavoratori del settore marittimo e cittadini, per creare consapevolezza e promuovere buone pratiche che incrementino il riutilizzo, il riciclaggio e il corretto smaltimento di rifiuti affinché si riduca la produzione di nuovi rifiuti marini.

Un nuovo ecosistema per le comunità microbiche

La plastica è un materiale durevole, che permane nell’ambiente per centinaia di anni e ha diversi impatti sugli organismi marini. A causa della loro densità alcuni dei polimeri plastici più comuni galleggiano in superficie, zona in cui numerose specie si nutrono.

L’ingerimento di detriti plastici può causare inedia, soffocamento, ostruzione dell’apparato digerente, e può esporre gli organismi marini alle sostanze tossiche contenute o adsorbite dalla plastica (ftalati, policlorobifenili, ecc…), con conseguenti disordini endocrini (Werner et al, 2016).

Quando animali come le tartarughe marine e i cetacei, definite specie carismatiche, rimangono intrappolati in reti da pesca abbandonate o ingeriscono grandi pezzi di plastica, l’impatto mediatico è elevato.

Tuttavia, in termini ambientali e di tossicità, le microplastiche (frammenti di dimensione minore di 5 mm) rappresentano un rischio potenzialmente più grave, per via della maggiore quantità e dispersione, con effetti diffusi, di conseguenza, su una porzione più ampia di fauna marina (UNEP, 2016).

Le microplastiche derivano principalmente dalla frammentazione dei rifiuti plastici di maggiori dimensioni (UNEP, 2016), e costituiscono un inquinante difficile da quantificare e impossibile da rimuovere.

Già poche ore dopo l’arrivo in mare (Zettler et al., dati non pubblicati), la plastica viene ricoperta da differenti tipi di microrganismi (alghe unicellulari, batteri, piccoli metazoi e virus), che sviluppano velocemente uno strato microbico sulla sua superficie.

A causa di questa pellicola, la plastica può presentare lo stesso odore, aspetto e sapore del cibo, e le specie che si nutrono di plancton potrebbero ingerirla (Savoca et al. 2016), specialmente in aree oligotrofiche, dove le risorse alimentari scarseggiano (Amaral-Zettler et al. 2015). In questo modo, le microplastiche possono entrare nella rete trofica.

La vita microscopica (la “Plastisfera”) che prolifera su queste piccole isole di detriti plastici galleggianti può percorrere lunghe distanze.

Inoltre, durante il percorso, queste comunità microbiche possono acquisire una composizione di specie diversa da quella presente in mare aperto (Amaral-Zettler et al. 2015).

La distinzione tra le comunità microbiche della Plastisfera e quelle della superficie acquatica circostante rende la plastica un habitat del tutto nuovo.

Nuove opportunità di dispersione degli organismi patogeni

I mammiferi marini potrebbero essere esposti a stress ambientali causati da inquinanti chimici, tossine algali e nuovi patogeni (Bossart, 2011). Per i cetacei è ormai appurato, a livello mondiale, che l’inquinamento chimico ha aggravato l’insorgere di diverse patologie e che l’inquinamento biologico è in aumento (Van Bressem, 2009). Questo problema può essere esacerbato proprio dalla plastica, le cui elevate quantità rilasciate nell’ambiente marino negli ultimi cinquant’anni accrescono di fatto le possibilità di dispersione di patogeni dannosi per gli umani e per gli organismi marini (GESAMP, 2016).

I patogeni dei pesci

Patogeni dei pesci (Zettler et al. 2013; De Tender et al. 2015) e alghe dinoflagellate potenzialmente tossicche (Masó et al. 2015) possono aderire alla plastica ed essere trasportati.

I batteri del genere Vibrio sono spesso presenti sulle microplastiche (Zettler et al. 2013; Schmidt et al. 2014; De Tender et al. 2015) e qui, in condizioni favorevoli, si moltiplicano (Zettler et al. 2013). Vibrio e altri potenziali patogeni sono stati trovati anche su detriti plastici presenti sulla costa belga e alcuni di questi microrganismi erano diversi da quelli presenti nelle acque e nei sedimenti circostanti, a dimostrazione del fatto che i rifiuti plastici possono costituire un habitat distinto, dove proliferano questi organismi potenzialmente patogeni (De Tender et al. 2015).

Studi effettuati nel Nord Atlantico attribuiscono l’aumento osservato nella popolazione dei batteri Vibrio all’incremento della temperatura dell’acqua (Vezzulli et al. 2016) e, per via del cambiamento climatico, la temperatura del mare sta aumentando anche nel Mar Mediterraneo e nel Santuario Pelagos (Schroeder et al. 2016).

Bisogna dunque iniziare a monitorare le comunità microbiche che compongono la Plastisfera e valutare i potenziali rischi che rappresentano per i cetacei del Santuario.

Il monitoraggio e l’identificazione dei microrganismi che vivono sulla plastica e la stima dei rischi connessi (patogeni, specie tossiche) sono aree di ricerca prioritarie a livello del Mediterraneo (UNEP 2015) e internazionale (GESAMP 2016). Fino ad oggi, solo uno studio (Expédition Med, 2017) ha analizzato la Plastisfera in mare aperto nel Mediterraneo, ma il Santuario Pelagos non era incluso (bit.ly/MapExpMED2017).

La Plastisfera e le zone di alimentazione della balenottera comune

L’impatto delle micro e meso plastiche sulle grandi specie filtratrici come la balenottera comune (Balenoptera physalus) è un campo di ricerca ancora inesplorato. La maggior parte degli studi condotti sinora si è concentrata sul potenziale accumulo nell’organismo della balenottera comune di additivi rilasciati dai frammenti di plastica ingeriti, o sui composti chimici tossici adsorbiti e concentrati sulla plastica (Fossi et al. 2012, 2016). Tuttavia, la plastica può avere impatto sulle balenottere comuni anche a causa degli organismi potenzialmente patogeni che ne colonizzano la superficie.

Nel Mar Mediterraneo, le balenottere si nutrono principalmente di krill presente nelle aree ad elevata produttività, che sono spesso associate a zone di accumulo (Druon et al. 2012).

Tuttavia, lo stesso meccanismo che induce la concentrazione del plancton in una determinata area, agisce anche sui frammenti di plastica galleggianti, cosicché le balenottere comuni che si nutrono nel Santuario Pelagos quasi certamente incorrono nell’ingestione di micro e mesoplastiche (Fossi et al. 2012).

L’ipotesi trova conferma dalle biopsie effettuate su balenottere comuni del Mar Mediterraneo che indicano concentrazioni di composti chimici e additivi della plastica, tossici e persistenti, più elevate rispetto a quelle effettuate su individui della stessa specie che vivono in aree meno inquinate, come il Mare di Cortez in Messico (Fossi et al. 2016), e dal fatto che sussiste una sovrapposizione tra le zone di concentrazione di macro e microplastiche e le zone di alimentazione delle balenottere comuni (Fossi et al. 2017).

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